Quelle sere che.

Mio marito e io stiamo organizzando un viaggio negli USA, che sarà le nostre ferie estive (ammesso che la nuvoletta di Fantozzi che ci stiamo portando appresso da qualche settimana non ci impedisca di partire).
Gireremo un po’ tra la zona di Cape Cod, dove abbiamo dei conoscenti, e Boston, dove lui ha un impegno di lavoro, e ovviamente stiamo prenotando gli hotel via web.

Stasera ho avuto la brillante idea di dire a mio marito: “Ehi, ho controllato le ultime recensioni dell’hotel a Boston … Un sacco di gente scrive che ci sono i bed bugs!”

“Cosa?”

“Cimici. Cimici dei letti. Bleah.”

“Beh, troviamone un altro!”

Ora: il mondo non lo sa, ma mio marito e io siamo dei trend setter. È palese.
Quando noi compriamo una macchina nuova, tutti si comprano quella macchina (la Dacia deve a noi il picco delle vendite che ha avuto attorno al 2010, per esempio); se noi ci muoviamo in una direzione, tutti vanno in quella direzione; se noi andiamo in una città, il mondo si riversa in quella città.
Pare incredibile, ma negli stessi giorni in cui noi saremo a Boston, ovviamente tutto il mondo sarà a Boston – quindi gli unici hotel con disponibilità sono quelli che costano un macello. Ma un macello forte.

Io non mi scoraggio, però. E sono avanti: “Ho trovato una bella stanza in Airbnb, molto centrale e con belle recensioni”.

E così ho trascorso le ultime due ore a tentare di fare una prenotazione su Airbnb – ma sto infilando un errore dietro l’altro, e una difficoltà dietro l’altra, come se si trattasse di una gimkana, e non dell’organizzazione di un soggiorno. Ed è probabile che mi stiano addebitando comunque una montagna di costi di gestione per le pratiche.
Ditemi quello che volete, ma per me l’interfaccia di Airbnb non è affatto user friendly. Oppure io sono davvero anziana, come insinua la mia dolce metà.

Comunque sia, sta di fatto che questa cosa forse mi impedirà di scrivere il solito post per la sfida dei trenta giorni. Che nervi. Ad un giorno dalla conclusione. Ah, chi l’avrebbe mai detto, che avrei mancato il traguardo proprio quando era a portata di mano … Peccato. E buonanotte a tutti.

[Per chi si chiedesse come sono fatti i “bed bugs”, ecco qui la pagina di Wikipedia. Solo per stomaci forti…]

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Undisclosed recipients (ovvero: ma anche no)

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La sfida dei 30 giorni

Sono inciampata in un Ted Talk del 2011, in cui tale Matt Cutts (allora ingegnere presso Google) racconta la sua sfida dei 30 giorni: in un momento della sua vita in cui si sentiva bloccato, ha deciso di provare qualcosa di nuovo, o qualcosa che aveva sempre desiderato fare, per trenta giorni consecutivi.

Per esempio: ha scritto un romanzo, in trenta giorni. Si è trasformato da nerd sedentario in ciclista abitudinario. Ha rinunciato allo zucchero per un mese intero. Non ho capito bene come, ma è persino arrivato in cima al Kilimangiaro.

Ho deciso anch’io di lanciare a me stessa una sfida dei 30 giorni:

per i prossimi 30 giorni, scriverò ogni giorno un post di almeno 500 parole.

Anche per rianimare questo blog, che langue da troppo tempo: mi ero un po’ montata la testa con quella cosa di Barack Obama, spostando la mia scrittura ricreativa su Linkedin Pulse.

[Precisazione: l’impegno è a scrivere ogni giorno, non necessariamente a pubblicare in tempo reale. Lo anticipo, perché tra poco sarò in ferie per qualche giorno, e non sono sicura che avrò sempre a disposizione una connessione per postare. Ma alla fine 30 post saranno pubblicati, frutto di una scrittura quotidiana.]

[Precisazione bis: annuncio pubblicamente questa sfida che ho lanciato a me stessa, perché non c’è nessun gusto a fare figuracce in privato.]

 

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10 cose che ho imparato dal basket

Non sono mai stata una sportiva: più il tipo dell’intellettuale, direi (con un non trascurabile fondo di cojonaggine, per usare un francesismo). Non ho nemmeno una particolare fame agonistica, e credo che questo sia il motivo principale per cui la mia unica esperienza di pratica sportiva seria fallì miseramente, tanti e tanti anni fa.

Ero alle medie. Mio padre, con l’occhio lungo di chi ne sa a pacchi (sic), credette di vedere in me – alta, dinoccolata e con piedi enormi (mia nonna mi chiamava Olivia, come la fidanzata di Braccio di Ferro) – promettenti tracce di talento cestistico, quindi pensò bene di iscrivermi al minibasket, con la Polisportiva Carpenedo.  Continua a leggere “10 cose che ho imparato dal basket”

Un fortunato disastro (racconto semiserio)

[Questo è un pezzo di fantascienza, scritto per esercizio e per diletto. Ogni riferimento a fatti o persone reali è più o meno puramente casuale. ]

A distanza di qualche anno, le capitava di ritornare a quell’episodio ancora con una certa ansia. Lo ricordava come una delle lezioni professionali più vivaci che avesse mai ricevuto, seppure in parziale contumacia.

Continua a leggere “Un fortunato disastro (racconto semiserio)”